giovedì 7 maggio 2015

Raffaele

LA DISCESA DEL TEVERE CON QUELLI DEL “DIT”
Nel partire per questa nuova avventura, non avevo la minima idea di ciò che ci aspettava.
Avevamo già, mia moglie ed io, una discreta esperienza di voga, ma per lo più ci eravamo formati sul lago o in mare. Pensavamo anche di aver compiuto una piccola impresa quando avevamo circumnavigato l’isola d’Elba in una settimana, in piena autonomia e dormendo sulle spiagge.
Ripensandoci a mente fredda, quella come altre nostre precedenti avventure avevano la comune caratteristica di essersi svolte in mare ed in periodi tipicamente estivi; alla luce dei prossimi accadimenti, questi particolari sono risultati niente affatto trascurabili.

I nostri sono due kayak sit on top della Ocean di circa 4,20 metri piuttosto larghi e discretamente pesanti (in specie il mio), molto comodi per stivarci ogni ben di dio poiché corredati di ampi gavoni, ma forse più adatti al campeggio nautico che alla navigazione fluviale (di ciò ci siamo accorti al primo trasbordo).

I nostri stupendi attrezzi

Al di là di queste prime considerazioni, il nostro entusiasmo era alle stelle quando siamo partiti da casa per raggiungere Città di Castello, punto di raduno iniziale e non è calato neanche quando, una volta arrivati sul posto, abbiamo visto che la sede del circolo canoa che doveva ospitarci era in realtà un cantiere in costruzione; perciò anche le più banali operazioni burocratiche dovevano essere svolte all’aperto. Per giunta aveva cominciato a piovere. Non convinti della possibile sistemazione al coperto che ci veniva offerta (in realtà non avevamo neanche insistito per capire dove fosse la sistemazione stessa), abbiamo piantato la tenda prima di cena, proprio davanti la prima rapida che avremmo dovuto attraversare.
Fu un grosso errore perché la rapida, svolgendo il suo lavoro, faceva un fracasso pazzesco e il clima favorito dalla pioviggine, ma anche dall’evaporazione dell’acqua della rapida era insolitamente freddo per questo periodo dell’anno. In pratica non abbiamo goduto neanche di un minuto di sonno.
La cena in compenso è stata un successo. Abbiamo avuto modo di conoscere quelli che sarebbero poi stati i nostri compagni di viaggio e, vista l’abbondanza delle porzioni, abbiamo risolto rapidamente e senza alcuna vergogna anche il problema del pranzo del giorno dopo farcendo per ognuno di noi un paio di panini con il prosciutto abbondantemente elargito.
Cena del 24 aprile

25 aprile
La mattina eravamo pronti per il grande balzo. Non è per usare un linguaggio figurativo; in realtà, una volta in acqua, percorsi cento metri, si presentava la prima rapida che, per noi neofiti, costituiva un imprevisto e forse troppo precoce, battesimo. E tale fu appunto per Simone, l’amico di vecchia data che ci aveva coinvolto in questa avventura e che rovinosamente, anche lui come noi inesperto in queste operazioni, si è trovato, non appena partito, nell’acqua gelida di questo inconsueto fonte battesimale. Maj-Lis ed io in questa occasione ce la siamo cavata, ma non sarà sempre così, come vedremo poi.

 Una bella prova di Maj-Lis

 Fin troppo presto abbiamo dovuto accorgerci che anche quando sembra calma, l’acqua del fiume va sempre letta con molta attenzione, perché non è difficile trovarsi al centro di un vortice o nei gorghi provocati dagli ostacoli sommersi e proprio per questo invisibili.
La prima tappa, da Città di Castello ad Umbertide, svolta sotto un cielo plumbeo, non è stata propriamente una passeggiata: circa trenta chilometri e sette-otto passaggi sulle rapide in un paio dei quali ho avuto anch’io il mio battesimo. Bisogna dire che l’impatto con l’acqua è traumatico, ma non è l’effetto peggiore della scuffia. Il brutto viene quando, aiutati dagli uomini dello staff (per la verità sempre pronti e molto efficienti), rimontiamo in barca, ci accorgiamo di essere intrisi d’acqua e, stante le condizioni climatiche, dovremo mantenere questa condizione per il resto del percorso. D’altra parte, in una canoa sit on top, anche quando si riesce brillantemente a superare una rapida, le onde, in genere scavalcano l’imbarcazione facendoci comunque il bagno, almeno fino al punto vita. Perciò dovremo abituarci a convivere con i nostri indumenti bagnati.
Non mi piace essere critico, ma la cena ad Umbertide non è stata granchè. Forse la stanchezza o la ripetitività del menù hanno influito sul giudizio. Alla fine decidiamo di concederci il giusto riposo. Anche in questa località montiamo la nostra tenda, contando su una posizione migliore. Nottata piuttosto fredda, ma qualche ora riusciamo a dormire.

26 aprile
Il secondo giorno la tappa si preannunciava ancora più lunga della precedente. Siamo venuti per pagaiare e perciò non dovrebbe spaventarci l’idea di passare l’intera giornata sul fiume, che tra l’altro si fa ammirare per la sua devastante selvaticità (che si può anche considerare un pregio, ma di fatto è dovuta all’assoluta incuria di cui viene fatto oggetto dai governanti locali), ma arrivare troppo tardi complica tutte le operazioni successive rendendole a volte frenetiche e stressanti.

 A volte sembra di vivere in un dipinto

La mattinata viene allietata da un piacevole intermezzo: lo sbarco con visita al casale della “sora Rosa” che generosamente, ogni anno, in occasione della “discesa”, riceve una marea di affamati offrendo una pantagruelica merenda con bruschetta, salsicce e ogni tipo di dolce, rigorosamente fatto in casa. Una vera manna!

Sosta bruschetta da zia Rosa

In qualche maniera, e dopo un ulteriore bagno, provocato da una mia stupida distrazione, riesco a concludere senza troppi danni la giornata.
Il momento topico è, come sempre, quello della cena in cui ci si rilassa e si riallacciano, con i soliti amici, i discorsi interrotti la sera precedente. Continuo a pensare che, piuttosto che il solito arrosto di maiale, che ci verrà riproposto, con assillante sistematicità, tutte le sere, apprezzerei di più un semplice minestrone di verdure con legumi o una bella pasta e fagioli, ma purtroppo mi rendo conto di non essere in un ristorante.
In questa occasione decidiamo finalmente di sistemarci per la notte al coperto, tra l’altro nello stesso locale in cui abbiamo mangiato, godendo di un confort decisamente migliore. Apriamo anche la tenda per creare un minimo di privacy, ma anche per non spargere in giro tutte le nostre cose, la maggior parte delle quali, tra l’altro, sono state appese ad un filo sommariamente steso attraverso la stanza. Anche altri hanno risolto le stesse esigenze in modo analogo, perciò sembra di essere in un campo rom, ma la sensazione non è sgradevole, anzi!

Locale cena e pernotto, Pretola (PG)

27 aprile
La mattina dopo, gli indumenti stesi, non sono proprio asciutti, ma un po’ più gradevoli di quando ce li siamo tolti. Ce li infiliamo senza più lamentarci, tanto a che servirebbe?
Maj-Lis parte con la carovana per portare l’auto al punto di arrivo. Avevo dimenticato questo particolare: sono partito da casa senza alcun documento, sicché da quando mi sono accorto della cosa, giocoforza, è lei che deve accollarsi l’onere dei trasferimenti. Mi spiace, ma il rischio, in caso di un controllo è troppo elevato.
Si parte al ritorno degli autisti trasportati dal pullmino, ma il tempo non promette bene. Dopo alcune rapide ed un ulteriore scuffia di Simone, che incavolato come un riccio, tornato in sella, brontola nei confronti di chi parandoglisi davanti al momento sbagliato, gli ha fatto deviare la prua, provocandone il bagno.
Quando pensiamo di fermarci per una breve pausa, e mandar giù quei panini chissà come rimediati, comincia a piovere, prima piano, poi uno sgrullone. Non ci lamentiamo nemmeno; continuiamo a mangiare i panini che man mano si ammorbidiscono sotto l’acqua battente. Ormai non abbiamo più la forza di reclamare, nemmeno contro il governo ladro, come è di prassi.

Una pausa...anche per svuotare gli stivaletti dall'acqua

All’arrivo mi ero attardato un po’ a sistemare l’attrezzatura, prima di incamminarmi al punto dove un pullmino avrebbe dovuto portarci al parcheggio delle nostre auto. Non ero partito molto più tardi degli altri, ma forse ho fatto una strada un po’ più lunga poiché non ho trovato la scorciatoia che tutti gli altri avevano percorso e che era nascosta da una fitta piantagione di ortica. (non oso immaginare come mi sarei ridotto, con le gambe scoperte, se l’avessi trovata). Fatto sta che arrivato al punto indicato, il pullmino non c’era più. Ero intriso d’acqua, ingolfato da sedili, bidoni, impicci vari e non avevo la minima idea di dove andare. Per fortuna un altro disperato aveva subito la mia stessa sorte ed almeno lui sapeva, sia pure in maniera molto approssimativa, il luogo di destinazione. Contattati alcuni locali, abbiamo ricevuto indicazioni più precise, ma si trattava comunque di fare un tragitto di circa tre-quattro chilometri (per questo era previsto il pullmino!).
Tremavo dal freddo ed il cervello cominciava a perdere efficienza. Per nostra fortuna è intervenuto un angelo, nei panni di un distinto signore locale, che si è offerto, visto il nostro miserabile stato, di accompagnarci. L’avremmo baciato, anche se, forse, non avrebbe gradito. All’arrivo ho sfogato il freddo, la paura, la rabbia, scagliandomi sul primo uomo dell’organizzazione che ho trovato. Ne ha fatto le spese Carlo, che comunque si è difeso bene. Una volta sfogato, non c’era più niente da dire e, come si dice, tutto è bene, quel che finisce bene.
Altra cena monocorde e altro pernottamento al coperto. Per carità, gli sforzi dei ristoratori sono sempre stati encomiabili, ma io continuavo a sognare una semplice zuppa di verdure, piuttosto che antipasti di salame e secondi di salsiccia o arrosto di maiale.


28 aprile
Si riparte.  Pagaiate, rapide, trasbordi (quanto pesa la mia canoa!). Ormai è una routine. La giornata è resa particolarmente pesante da una pioggia pressoché incessante, ma non prevede eccessive difficoltà. Il fiume a mano a mano si allarga e la corrente di conseguenza si riduce, perciò la fatica aumenta. L’arrivo al “Poggiolo” (Monte Castello di Vibio) è una liberazione. Ci dicono che la località sarebbe da visitare; che dalle sue mura si può godere un’incantevole visione della campagna umbra. 
Vista da Monte Castello di Vibio

Purtroppo dobbiamo rimandare questo tipo di turismo ad altra data. Troppa stanchezza e troppe cosa da fare. Ci rimane solo il tempo di andare a cena.
 Ci viene offerto, oltre il solito arrosto di maiale, anche un contorno di ceci. Lo stomaco ringrazia!

29 aprile
Tappa breve e conclusiva, almeno per noi.  Un paio di difficoltà non da poco ci elettrizzano e ravvivano la giornata. Incontriamo anche una diga che dovremo superare trasbordando con molta fatica, ma per fortuna, sempre aiutati dallo staff o dagli altri partecipanti che non si tirano mai indietro. Scopro in effetti nel popolo dei canoisti una bella comunità di persone semplici, di poche parole, ma molto efficaci, alle quali, onestamente, fatico a star dietro. 

Uno dei  trasbordi

Per consolarmi mi dico che ho anche più di settant’anni, poi mi guardo intorno e vedo che l’età media non è molto inferiore alla mia e allora mi taccio e continuo a pagaiare.
All’arrivo dobbiamo trascinare per un bel pezzo le nostre canoe e caricarle sopra l’auto. Io avrei comunque dovuto farlo perché avevo già deciso di partire l’indomani mattina. Poi un aperitivo in un bar, prima di arrivare al campeggio dove avremmo passato la notte.
La sistemazione che ci viene offerta nel villaggio è splendida, in specie se confrontata con quelle precedenti. Eleganti casette prefabbricate con letti veri, bagni veri ed ogni altra comodità.
Purtroppo non posso godere di niente perché vengo colto da un repentino attacco di influenza con febbre, brividi, senso di costipazione e tutto l’armamentario che consegue in questi casi.
Il fatto di passare la notte in una vera casa invece che in tenda mi è stato di grande conforto, ma comunque le nottata non è stata piacevole. Ovviamente niente cena, almeno per me, e la tristezza di non poter salutare gli amici creatisi nel breve, ma intenso periodo passato insieme.

I nostri eroi alla sosta presso il campeggio

La mattina mi sono ficcato in auto e malinconicamente mi son fatto portare a casa.            
Al prossimo anno, in cui potremo dire pomposamente di essere dei veterani ed essere forse, con l’esperienza acquisita, più preparati e meglio equipaggiati.
Rimane il problema dei menù delle cene, ma c’è ancora un anno; qualcosa ci inventeremo.
Grazie a tutti per la reciproca collaborazione, prestata a tutti e sempre con un sorriso.
Grazie per la splendida organizzazione. Sarebbe stata gradita, a mio modo di vedere, una maggiore comunicazione, magari con un briefing mattutino o con fogli informativi, giorno per giorno appesi nelle sale prescelte per la cena. 




Ma va bene anche così.
Vi abbraccio tutti, idealmente
Raffaele