LA
DISCESA DEL TEVERE CON QUELLI DEL “DIT”
Nel partire per questa
nuova avventura, non avevo la minima idea di ciò che ci aspettava.
Avevamo già, mia moglie
ed io, una discreta esperienza di voga, ma per lo più ci eravamo formati sul
lago o in mare. Pensavamo anche di aver compiuto una piccola impresa quando
avevamo circumnavigato l’isola d’Elba in una settimana, in piena autonomia e
dormendo sulle spiagge.
Ripensandoci a mente
fredda, quella come altre nostre precedenti avventure avevano la comune caratteristica
di essersi svolte in mare ed in periodi tipicamente estivi; alla luce dei
prossimi accadimenti, questi particolari sono risultati niente affatto
trascurabili.
I nostri sono due kayak
sit on top della Ocean di circa 4,20 metri piuttosto larghi e discretamente
pesanti (in specie il mio), molto comodi per stivarci ogni ben di dio poiché
corredati di ampi gavoni, ma forse più adatti al campeggio nautico che alla
navigazione fluviale (di ciò ci siamo accorti al primo trasbordo).
I
nostri stupendi attrezzi
Al di là di queste
prime considerazioni, il nostro entusiasmo era alle stelle quando siamo partiti
da casa per raggiungere Città di Castello, punto di raduno iniziale e non è
calato neanche quando, una volta arrivati sul posto, abbiamo visto che la sede
del circolo canoa che doveva ospitarci era in realtà un cantiere in
costruzione; perciò anche le più banali operazioni burocratiche dovevano essere
svolte all’aperto. Per giunta aveva cominciato a piovere. Non convinti della
possibile sistemazione al coperto che ci veniva offerta (in realtà non avevamo
neanche insistito per capire dove fosse la sistemazione stessa), abbiamo
piantato la tenda prima di cena, proprio davanti la prima rapida che avremmo
dovuto attraversare.
Fu un grosso errore
perché la rapida, svolgendo il suo lavoro, faceva un fracasso pazzesco e il
clima favorito dalla pioviggine, ma anche dall’evaporazione dell’acqua della
rapida era insolitamente freddo per questo periodo dell’anno. In pratica non
abbiamo goduto neanche di un minuto di sonno.
La cena in compenso è
stata un successo. Abbiamo avuto modo di conoscere quelli che sarebbero poi
stati i nostri compagni di viaggio e, vista l’abbondanza delle porzioni, abbiamo
risolto rapidamente e senza alcuna vergogna anche il problema del pranzo del
giorno dopo farcendo per ognuno di noi un paio di panini con il prosciutto
abbondantemente elargito.
Cena
del 24 aprile
25 aprile
La mattina eravamo
pronti per il grande balzo. Non è per usare un linguaggio figurativo; in
realtà, una volta in acqua, percorsi cento metri, si presentava la prima rapida
che, per noi neofiti, costituiva un imprevisto e forse troppo precoce,
battesimo. E tale fu appunto per Simone, l’amico di vecchia data che ci aveva coinvolto
in questa avventura e che rovinosamente, anche lui come noi inesperto in queste
operazioni, si è trovato, non appena partito, nell’acqua gelida di questo inconsueto
fonte battesimale. Maj-Lis ed io in questa occasione ce la siamo cavata, ma non
sarà sempre così, come vedremo poi.
La prima tappa, da
Città di Castello ad Umbertide, svolta sotto un cielo plumbeo, non è stata
propriamente una passeggiata: circa trenta chilometri e sette-otto passaggi
sulle rapide in un paio dei quali ho avuto anch’io il mio battesimo. Bisogna
dire che l’impatto con l’acqua è traumatico, ma non è l’effetto peggiore della
scuffia. Il brutto viene quando, aiutati dagli uomini dello staff (per la
verità sempre pronti e molto efficienti), rimontiamo in barca, ci accorgiamo di
essere intrisi d’acqua e, stante le condizioni climatiche, dovremo mantenere
questa condizione per il resto del percorso. D’altra parte, in una canoa sit on
top, anche quando si riesce brillantemente a superare una rapida, le onde, in
genere scavalcano l’imbarcazione facendoci comunque il bagno, almeno fino al
punto vita. Perciò dovremo abituarci a convivere con i nostri indumenti
bagnati.
Non mi piace essere
critico, ma la cena ad Umbertide non è stata granchè. Forse la stanchezza o la
ripetitività del menù hanno influito sul giudizio. Alla fine decidiamo di
concederci il giusto riposo. Anche in questa località montiamo la nostra tenda,
contando su una posizione migliore. Nottata piuttosto fredda, ma qualche ora
riusciamo a dormire.
26
aprile
Il secondo giorno la
tappa si preannunciava ancora più lunga della precedente. Siamo venuti per
pagaiare e perciò non dovrebbe spaventarci l’idea di passare l’intera giornata
sul fiume, che tra l’altro si fa ammirare per la sua devastante selvaticità (che
si può anche considerare un pregio, ma di fatto è dovuta all’assoluta incuria
di cui viene fatto oggetto dai governanti locali), ma arrivare troppo tardi
complica tutte le operazioni successive rendendole a volte frenetiche e
stressanti.
La mattinata viene
allietata da un piacevole intermezzo: lo sbarco con visita al casale della
“sora Rosa” che generosamente, ogni anno, in occasione della “discesa”, riceve
una marea di affamati offrendo una pantagruelica merenda con bruschetta,
salsicce e ogni tipo di dolce, rigorosamente fatto in casa. Una vera manna!
Sosta bruschetta
da zia Rosa
In qualche maniera, e
dopo un ulteriore bagno, provocato da una mia stupida distrazione, riesco a
concludere senza troppi danni la giornata.
Il momento topico è,
come sempre, quello della cena in cui ci si rilassa e si riallacciano, con i
soliti amici, i discorsi interrotti la sera precedente. Continuo a pensare che,
piuttosto che il solito arrosto di maiale, che ci verrà riproposto, con
assillante sistematicità, tutte le sere, apprezzerei di più un semplice
minestrone di verdure con legumi o una bella pasta e fagioli, ma purtroppo mi
rendo conto di non essere in un ristorante.
In questa occasione decidiamo
finalmente di sistemarci per la notte al coperto, tra l’altro nello stesso
locale in cui abbiamo mangiato, godendo di un confort decisamente migliore. Apriamo
anche la tenda per creare un minimo di privacy, ma anche per non spargere in
giro tutte le nostre cose, la maggior parte delle quali, tra l’altro, sono
state appese ad un filo sommariamente steso attraverso la stanza. Anche altri
hanno risolto le stesse esigenze in modo analogo, perciò sembra di essere in un
campo rom, ma la sensazione non è sgradevole, anzi!
Locale cena e pernotto, Pretola (PG)
27
aprile
La mattina dopo, gli
indumenti stesi, non sono proprio asciutti, ma un po’ più gradevoli di quando
ce li siamo tolti. Ce li infiliamo senza più lamentarci, tanto a che
servirebbe?
Maj-Lis parte con la
carovana per portare l’auto al punto di arrivo. Avevo dimenticato questo
particolare: sono partito da casa senza alcun documento, sicché da quando mi
sono accorto della cosa, giocoforza, è lei che deve accollarsi l’onere dei
trasferimenti. Mi spiace, ma il rischio, in caso di un controllo è troppo
elevato.
Si parte al ritorno
degli autisti trasportati dal pullmino, ma il tempo non promette bene. Dopo
alcune rapide ed un ulteriore scuffia di Simone, che incavolato come un riccio,
tornato in sella, brontola nei confronti di chi parandoglisi davanti al momento
sbagliato, gli ha fatto deviare la prua, provocandone il bagno.
Quando pensiamo di
fermarci per una breve pausa, e mandar giù quei panini chissà come rimediati,
comincia a piovere, prima piano, poi uno sgrullone. Non ci lamentiamo nemmeno;
continuiamo a mangiare i panini che man mano si ammorbidiscono sotto l’acqua
battente. Ormai non abbiamo più la forza di reclamare, nemmeno contro il
governo ladro, come è di prassi.
Una
pausa...anche per svuotare gli stivaletti dall'acqua
All’arrivo mi ero attardato
un po’ a sistemare l’attrezzatura, prima di incamminarmi al punto dove un
pullmino avrebbe dovuto portarci al parcheggio delle nostre auto. Non ero
partito molto più tardi degli altri, ma forse ho fatto una strada un po’ più
lunga poiché non ho trovato la scorciatoia che tutti gli altri avevano percorso
e che era nascosta da una fitta piantagione di ortica. (non oso immaginare come
mi sarei ridotto, con le gambe scoperte, se l’avessi trovata). Fatto sta che
arrivato al punto indicato, il pullmino non c’era più. Ero intriso d’acqua, ingolfato
da sedili, bidoni, impicci vari e non avevo la minima idea di dove andare. Per
fortuna un altro disperato aveva subito la mia stessa sorte ed almeno lui
sapeva, sia pure in maniera molto approssimativa, il luogo di destinazione.
Contattati alcuni locali, abbiamo ricevuto indicazioni più precise, ma si
trattava comunque di fare un tragitto di circa tre-quattro chilometri (per
questo era previsto il pullmino!).
Tremavo dal freddo ed
il cervello cominciava a perdere efficienza. Per nostra fortuna è intervenuto un
angelo, nei panni di un distinto signore locale, che si è offerto, visto il
nostro miserabile stato, di accompagnarci. L’avremmo baciato, anche se, forse,
non avrebbe gradito. All’arrivo ho sfogato il freddo, la paura, la rabbia,
scagliandomi sul primo uomo dell’organizzazione che ho trovato. Ne ha fatto le
spese Carlo, che comunque si è difeso bene. Una volta sfogato, non c’era più
niente da dire e, come si dice, tutto è bene, quel che finisce bene.
Altra cena monocorde e
altro pernottamento al coperto. Per carità, gli sforzi dei ristoratori sono
sempre stati encomiabili, ma io continuavo a sognare una semplice zuppa di
verdure, piuttosto che antipasti di salame e secondi di salsiccia o arrosto di
maiale.
28 aprile
Si riparte. Pagaiate, rapide, trasbordi (quanto pesa la
mia canoa!). Ormai è una routine. La giornata è resa particolarmente pesante da
una pioggia pressoché incessante, ma non prevede eccessive difficoltà. Il fiume
a mano a mano si allarga e la corrente di conseguenza si riduce, perciò la fatica
aumenta. L’arrivo al “Poggiolo” (Monte Castello di Vibio) è una liberazione. Ci
dicono che la località sarebbe da visitare; che dalle sue mura si può godere un’incantevole
visione della campagna umbra.
Vista
da Monte Castello di Vibio
Purtroppo dobbiamo
rimandare questo tipo di turismo ad altra data. Troppa stanchezza e troppe cosa
da fare. Ci rimane solo il tempo di andare a cena.
29 aprile
Tappa breve e
conclusiva, almeno per noi. Un paio di
difficoltà non da poco ci elettrizzano e ravvivano la giornata. Incontriamo
anche una diga che dovremo superare trasbordando con molta fatica, ma per
fortuna, sempre aiutati dallo staff o dagli altri partecipanti che non si
tirano mai indietro. Scopro in effetti nel popolo dei canoisti una bella
comunità di persone semplici, di poche parole, ma molto efficaci, alle quali,
onestamente, fatico a star dietro.
Uno
dei trasbordi
Per consolarmi mi dico
che ho anche più di settant’anni, poi mi guardo intorno e vedo che l’età media
non è molto inferiore alla mia e allora mi taccio e continuo a pagaiare.
All’arrivo dobbiamo
trascinare per un bel pezzo le nostre canoe e caricarle sopra l’auto. Io avrei
comunque dovuto farlo perché avevo già deciso di partire l’indomani mattina.
Poi un aperitivo in un bar, prima di arrivare al campeggio dove avremmo passato
la notte.
La sistemazione che ci
viene offerta nel villaggio è splendida, in specie se confrontata con quelle
precedenti. Eleganti casette prefabbricate con letti veri, bagni veri ed ogni
altra comodità.
Purtroppo non posso
godere di niente perché vengo colto da un repentino attacco di influenza con
febbre, brividi, senso di costipazione e tutto l’armamentario che consegue in
questi casi.
Il fatto di passare la
notte in una vera casa invece che in tenda mi è stato di grande conforto, ma
comunque le nottata non è stata piacevole. Ovviamente niente cena, almeno per
me, e la tristezza di non poter salutare gli amici creatisi nel breve, ma
intenso periodo passato insieme.
I nostri eroi alla sosta presso il campeggio
La mattina mi sono
ficcato in auto e malinconicamente mi son fatto portare a casa.
Al prossimo anno, in
cui potremo dire pomposamente di essere dei veterani ed essere forse, con
l’esperienza acquisita, più preparati e meglio equipaggiati.
Rimane il problema dei
menù delle cene, ma c’è ancora un anno; qualcosa ci inventeremo.
Grazie a tutti per la
reciproca collaborazione, prestata a tutti e sempre con un sorriso.
Grazie per la splendida
organizzazione. Sarebbe stata gradita, a mio modo di vedere, una maggiore
comunicazione, magari con un briefing mattutino o con fogli informativi, giorno
per giorno appesi nelle sale prescelte per la cena.
Ma va bene anche così.
Vi abbraccio tutti,
idealmente
Raffaele